Un approfondimento al giorno per ‘organizzare la speranza’, #22

Come possiamo capire e narrare le mafie se non ne ci sentiamo toccate direttamente, se l’agire criminoso risulta invisibile” alla nostra esperienza diretta e sembra non coinvolgere la nostra quotidianità, le nostre relazioni e i nostri contesti di vita
 questa una delle domande fondamentali che ci poniamo ogni volta che incontriamo gruppi di ragazze, a scuola o in altri contesti educativi. Molte ragazze conoscono la parola mafia” per sentito dire e spesso viene considerato un concetto indicante qualcosa di illegale, ma vago e lontano. È giunto alle loro orecchie qualcosa di Falcone e Borsellino, nomi legati a fatti lontanissimi nel tempo perché accaduti prima della loro nascita; oppure attraverso le figure spesso semplificate e stereotipate di film e serie tv.

Dai mezzi di informazione emergono rappresentazioni diverse tra loro, spesso poco approfondite: mafie come fenomeno legato all’arretratezza del Sud o alle periferie povere, mafie che si combattono con le grandi operazioni di polizia, mafie imprenditrici impegnate nel mercato finanziario globale. Queste rappresentazioni nellimmaginario mentale giovanile, indotte dalle narrazioni che hanno per oggetto la mafia, sono molteplici: possono suscitare fascino come inorridire, creare confusione quanto dare adito a giudizi semplificatori, captare adesioni emotive o suscitare difese e rifiuti, indurre identificazioni con gli eroi negativi” o, viceversa, con le vittime, con chi combatte la mafia e fa resistenza. Quello che ci interessa è elaborare con le ragazze un ragionamento che mira a decostruire (senza censurare o condannare per partito preso) tali rappresentazioni e proporne una che descriva la mafia come fenomeno complesso, da analizzare sul piano economico-sociale, culturale e politico.

In generale, per renderci consapevoli dei processi che ci portano a formulare uno stereotipo, il primo passo da fare raccogliere informazioni accurate. A scuola e a casa, insieme alle ragazze, questo potrebbe significare discutere insieme a partire da articoli, video o da semplici attività giocate che possano fungere da stimolo per approfondire la conoscenza di un determinato argomento.

Il libro La mafia spiegata ai ragazzi di Antonio Nicaso, parte proprio dalle immagini personali (e dagli stereotipi) delle più giovani sul tema del fenomeno mafioso. Questo testo – manuale che risponde a diverse domande sulle organizzazioni criminali in modo accurato e semplice, raccoglie alla prima pagina una serie di brevi impressioni sulla mafia, emerse da ragazze e ragazzi provenienti da varie parti d’Italia.

“La mafia è come la grandine. Quando arriva in primavera distrugge tutti i campi.”
Chiara, 12 anni, Cosenza.

“La mafia aiuta le persone che non hanno lavoro.”
Paolo, 11 anni, Belluno.

“La mafia è come un terremoto. Non ci puoi fare niente e non lo puoi fermare. ”
Marco, 16 anni, Roma.

“La mafia è quando tu vuoi fare una cosa e non te la fanno fare, e allora c’è la mafia. “
Luca, 15 anni, Napoli.

“La mafia è come un libro bianco, scritto col sangue”
Matteo, 14 anni, Milano

 

Nelle risposte dei ragazzi e delle ragazze, agli elementi del favoritismo e della violenza, si aggiunge l’idea della mafia come un fenomeno naturale (un terremoto, una grandinata) distruttivo e inevitabile. Nicaso, oltre a descrivere la struttura e le attività illegali delle principali mafie italiane e straniere, dedica una parte del libro alla lotta alla mafia, nella quale questo concetto fatalistico viene destrutturato attraverso una riflessione sull’importanza della conoscenza, dell’informazione, ma soprattutto dell’impegno collettivo, un elemento fondamentale per non arrendersi alla logica del “così è, così va, perché così deve andare”.

E’ tempo che dalla cultura della legalità si passi a quella della responsabilità. Una cultura della responsabilità ci spinga ad interrogarci su ciò che accade intorno a noi.

Il tema della corresponsabilità rimane cruciale anche per destrutturare la mitologia degli eroi che ancora è legata all’antimafia, primi su tutti i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il libro di Alex Corlazzoli 1992 – Sulle strade di Falcone e Borsellino, attraverso un linguaggio accessibile e l’espediente della mappa letteraria, non racconta soltanto le vite dei due giudici, ma traccia esplicitamente un percorso pensato per le “post-Millenials”.

“Falcone e Borsellino è il nome della piazza dove prendiamo lo scuolabus ogni mattina” […]

Quella mattina in classe ho compreso che qualcosa stava cambiando, anzi era già cambiato: fino ad allora avevo dato per scontato che i “Duemila” sapessero quel pezzo di storia, ma non era così […] Per noi nati prima del 1992 quella data era entrata a far parte della vita. Le altre (1945; 1968; 9 maggio 1978; 2 agosto 1980) le avevamo solo lette sui libri. Quel sabato di maggio e quella domenica di luglio, invece, li avevamo vissuti senza che ce lo raccontassero. Non avremmo più scordato che cosa stavamo facendo, con chi eravamo, dove eravamo il 23 maggio e il 19 luglio del 1992. Nessuno avrebbe dimenticato. Almeno, così ero convinto.

 

La narrazione è interessante perché l’autore – e insegnante – si rivolge alle ragazze riportando, non vicende di “cronaca” o la storia di grandi “eroi” contemporanei, bensì un vissuto personale che inevitabilmente s’intreccia al vissuto collettivo, contestualizzando un determinato periodo della storia italiana nella propria esperienza.

Fare questo passaggio dalla “delega” alla presa di responsabilità è fondamentale per abbandonare l’idea che la lotta alla mafia debba condurla una minoranza di professionisti specializzati (magistrati, forze dell’ordine ecc., ammantati appunto della veste di “eroi”) e costruire l’idea di antimafia sociale intesa come pratica quotidiana di resistenza all’ingiustizia e alla prevaricazione. Si tratta quindi di una scelta prima di tutto individuale che nasce dalla riflessione sulla domanda “io da che parte sto?”.

Ma l’antimafia sociale è forte se è capace di aggregare una massa critica all’interno della quale le prese di posizione sono collettive e non stanno più nell’ambito dell’eccezionalità, ma dell’ordinarietà. Insieme si fanno progetti, ci si propone e ci si espone, insieme si diventa parte attiva del movimento dell’antimafia sociale.

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